Beethoven

La storia di Beethoven è una delle più affascinanti del mondo della musica, soprattutto in virtù della sua sordità. Il grande compositore tedesco infatti cominciò a riscontrare problemi di udito prima dei trent’anni.  A trentanove era già completamente sordo.

Eppure, alcune delle sue più grandi composizioni, fra cui la Nona Sinfonia, vennero composte quando egli non riusciva più a percepire nemmeno una parola o una nota. Fu l’unione di una mente matematica e di un’anima votata completamente alla sua musica a compiere la magia, assieme alla forza di volontà che contraddistinse il compositore. L’idea del suicidio infatti lo tentò più volte nel corso della sua breve e travagliata vita, ma egli decise di non arrendersi e dedicarsi completamente alla musica.

La progressiva perdita dell’udito

Le origini dell’ipoacusia di Beethoven sono tutt’ora sconosciute, nonostante le autopsie eseguite sul corpo del compositore. Quello che per noi è interessante raccontare però sono le tappe di questa ipoacusia (poi divenuta sordità), del tutto simili a quelle che molte persone affrontano ancora oggi.

Inizialmente infatti, il problema uditivo riguardava solo la sfera del parlato. Il compositore percepiva le voci, ma non riusciva a distinguere chiaramente le parole. Per questo, doveva speso chiedere ai suoi interlocutori di alzare la voce. Successivamente, cominciò ad avere difficoltà nel percepire anche i suoni, e quindi la sua stessa musica. Egli stesso afferma che era costretto a sistemarsi proprio accanto all’orchestra per riuscire a sentire qualche nota.

Decise quindi di isolarsi volontariamente, per evitare che gli altri si accorgessero del suo handicap. Anche questa purtroppo è una reazione non estranea alle persone che soffrono di problemi uditivi, ma appare ancora più sofferta in un uomo che si guadagnava da vivere grazie alla musica.

Gli strumenti “tecnologici” con cui Beethoven combatté il calo dell’udito

Tuttavia, se da un lato si isolò dal mondo ai primi segnali di ipoacusia, dall’altro si ingegnò con tutti i mezzi possibili per continuare a sentire la musica che produceva, o meglio, a sentirne le vibrazioni.

Si dice ad esempio che avesse tagliato le gambe al suo pianoforte, affinché la tastiera toccasse il pavimento. Egli stesso, stendendosi a terra, posava l’orecchio sul pavimento per percepire le vibrazioni sonore prodotte dallo strumento.  O ancora, si dice che avesse fatto costruire una grande scatola che fungeva da cassa di risonanza. L’appoggiava sul pianoforte e suonava al suo interno, come in una moderna cabina di registrazione.

I biografi di Beethoven parlano anche di una bacchetta di metallo (probabilmente ottone) che il compositore teneva tra i denti mentre suonava, mettendola a contatto con la cassa armonica del pianoforte, sempre per percepire le vibrazioni.

Quelli di cui possiamo dare per certa l’esistenza sono però i cornetti acustici, i precursori dei moderni apparecchi acustici. Il primo venne realizzato per Beethoven dal suo amico Johann Mälzel, lo stesso inventore viennese che realizzò poi il metronomo. Questo rudimentale apparecchio acustico, assieme ad altri tre modelli acquistati in diverse occasioni dal compositore, sono oggi esposti alla Casa di Beethoven a Bonn.

Tuttavia, il rapporto del compositore con questi dispositivi non fu per niente buono, al punto che ancora oggi si possono notare su di essi numerose ammaccature. Beethoven era solito scagliarli contro le pareti durante gli scatti d’ira, quando si rendeva conto che non gli apportavano alcun beneficio. Arrivò anche ad l’amico Mälzel di avergli costruito dei dispositivi che avevano peggiorato il suo udito.

Cosa sarebbe successo se Beethoven avesse potuto usufruire di un moderno apparecchio acustico?

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